La storia dei cabinati arcade

Ti racconto la storia dei cabinati arcade, dalla nascita all'evoluzione di quella che divenne l'era d'oro dei videogiochi. Scopri dove tutto è iniziato ed intraprendi un viaggio nell'era nostalgica dei cabinati arcade con questo articolo!

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10/16/20253 min read

two arcade cabinets
two arcade cabinets

C’era un tempo in cui il rumore dei gettoni che cadevano in un cassettino metallico significava una cosa sola: era il momento di giocare. Prima che le console invadessero le case, prima che Internet rendesse il mondo un’arena digitale infinita, c’erano loro: le sale arcade. Luoghi di luci al neon, di sfide e amicizie, dove la gloria si misurava in punteggi e la sconfitta si dimenticava con un’altra moneta da cento lire.

Le origini delle sale arcade risalgono agli anni Settanta, quando il concetto di videogioco iniziò ad affacciarsi nella vita quotidiana. All’inizio erano semplici macchine elettromeccaniche: flipper, carabine luminose, simulazioni di guida rudimentali. Ma tutto cambiò nel 1972, quando un giovane ingegnere di nome Nolan Bushnell installò un cabinato chiamato Pong in un bar di Sunnyvale, California. Un gioco minimalista — due barre, una pallina quadrata e un suono metallico ogni volta che colpiva un muro. Eppure, quella semplicità accese qualcosa di nuovo. Il bar si riempì, il cabinato traboccò di monetine, e in pochi mesi Pong divenne un fenomeno culturale.

Le aziende si accorsero presto che il videogioco poteva essere un business. Nacquero così le prime arcade rooms, locali interamente dedicati al gioco elettronico. In Giappone, le strade di Tokyo si illuminarono con insegne verticali che invitavano i passanti a entrare in mondi digitali. L’aria odorava di metallo, gomma e zucchero filato; le pareti vibravano dei suoni 8-bit di Space Invaders, Galaga, Asteroids e Donkey Kong.

digital scoring board
digital scoring board

Il 1978 fu l’anno che cambiò tutto: Space Invaders di Tomohiro Nishikado. Il gioco giapponese divenne un’ossessione collettiva. In Giappone, la domanda di monete da 100 yen fu così alta che il governo dovette coniare nuove forniture per soddisfare i giocatori. Le sale arcade iniziarono a moltiplicarsi come funghi, trasformando interi quartieri in santuari elettronici. Ogni partita durava pochi minuti, ma in quei minuti il giocatore era un eroe, un pilota, un difensore dell’umanità.

Negli anni ’80, gli arcade diventarono una vera e propria cultura. Le sale arcade rappresentavano il regno dei colori al neon, dei pavimenti appiccicosi e delle giacche di pelle. Nascevano rivalità leggendarie: chi riusciva a battere il record di Pac-Man o di Donkey Kong diventava una sorta di celebrità locale. Persone come Billy Mitchell e Steve Wiebe divennero icone, portando il concetto di “record mondiale” nel linguaggio dei videogiocatori. Le sale giochi erano un palcoscenico dove il talento e la perseveranza contavano più dell’età o del denaro.

Ma come ogni leggenda, anche quella delle sale arcade ebbe il suo tramonto. Con l’arrivo delle console domestiche negli anni ’90 Nintendo, Mega Drive, PlayStation, il videogioco lasciò la strada e si trasferì nel salotto. Le luci delle sale iniziarono a spegnersi una a una, lasciando dietro di sé solo il suono lontano di un “Insert Coin”.

arcade game machine turned on in a room
arcade game machine turned on in a room

Eppure, le arcade non morirono mai davvero. In Giappone, sopravvissero come templi moderni della nostalgia. Catene come Taito Station o SEGA Arcade continuano ancora oggi a custodire cabinati lucenti, attrazioni musicali e giochi di combattimento dove i giovani di Tokyo si sfidano fino all’ultimo colpo. In Occidente, il mito delle sale giochi ha trovato nuova vita nei barcade, locali che uniscono birra artigianale e vecchie macchine restaurate, dove si può ancora giocare a Street Fighter II o Metal Slug con una mano sul joystick e l’altra su una pinta.

Le sale arcade erano un’esperienza. Il primo contatto con un mondo alternativo, un universo fatto di pixel, suoni elettronici e sogni a schermo. Ogni partita era una storia, ogni punteggio un ricordo.