La panchina al tramonto - Racconto breve
Racconto breve su Yui, una ragazza di sedici anni che lascia tutto ciò che conosce a Osaka per trasferirsi a Tokyo. Un racconto delicato e profondo su solitudine, cambiamento e piccoli incontri che lasciano il segno.
STORIE E RACCONTI
Mr. Red Drakar
9/18/20252 min read

Tokyo era immensa.
Lo capì appena scese dal treno, stretta accanto alla madre e con uno zaino troppo grande sulle spalle. C’era rumore ovunque: passi veloci, clacson, annunci che rimbalzavano tra i muri della stazione. Ma nel petto di Yui tutto era silenzio.
Aveva sedici anni e un groviglio di pensieri che non sapeva da dove iniziare a sciogliere.
Si era appena trasferita da Osaka, dove aveva lasciato tutto: le amiche, la nonna, il suo quartiere con i negozi che conosceva a memoria.
Qui, invece, ogni cosa sembrava correre, mentre lei si sentiva ferma.
Il nuovo liceo sarebbe cominciato lunedì.
Quel pensiero la inseguiva ovunque, anche quando cercava di distrarsi sistemando scatole o camminando per il quartiere.
Non sapeva se avrebbe avuto amici, se l’accento del Kansai l’avrebbe tradita, se sarebbe riuscita a parlare senza che le tremassero le mani.
Una sera, vagando senza meta dopo cena, entrò in un piccolo parco nascosto tra due palazzi.
C’era una panchina, un po’ consumata, che guardava verso ovest. Il sole era basso, arancione, e colorava i palazzi di una luce morbida, quasi gentile. Si sedette. Respirò. Per un attimo, il mondo sembrò meno ostile.
Poi lo notò.
Sedeva qualche metro più in là, silenzioso, con lo sguardo fisso verso l’orizzonte.
Un ragazzo poco più grande, forse suo coetaneo, in divisa scolastica. Non parlava al telefono, non aveva auricolari, non leggeva. Solo stava.
E c’era qualcosa in quel suo restare immobile che la colpì.
Sembrava sapere come stare al mondo senza farsi travolgere.
Il giorno dopo tornò.
Lui era lì.
E anche il giorno dopo ancora.
Non si parlarono.
Lei si sedeva, ascoltava il vento, guardava gli alberi agitarsi. Lui rimaneva nel suo silenzio, come una figura disegnata dentro il paesaggio.
Al quarto giorno, accadde.
Lui si alzò, frugò nello zaino e, senza dire nulla, le porse una lattina di tè freddo.
Lei la prese, sorpresa.
«Grazie» mormorò.
Lui annuì appena, poi tornò a sedersi.
Lunedì arrivò troppo presto.
Yui si alzò con lo stomaco stretto e il cuore pieno di domande. Si vestì lentamente, controllando mille volte lo specchio. All’ingresso del liceo, la folla le fece girare la testa.
Poi lo vide.
Ultimo banco, lato finestra.
Il ragazzo del parco.
Quando entrò, incrociarono gli sguardi.
Lui accennò un cenno con la testa. Nulla di eclatante. Ma per lei, in quel momento, fu come se qualcuno le avesse sussurrato:
“Non sei sola.”
Durante la pausa, si ritrovarono sul tetto della scuola.
Non si erano dati appuntamento, ma entrambi avevano cercato un po’ di silenzio.
Si salutarono. Si sedettero vicini.
Parlarono poco. Del tempo, della scuola, delle cose semplici.
Lui si chiamava Hayato.
Le disse che passava spesso al parco per stare in pace.
Lei annuì. Capiva perfettamente.
Nei giorni seguenti iniziarono a conoscersi.
Niente di forzato. Conversazioni brevi, ma sincere. Frammenti di sé lasciati piano piano.
Un venerdì pomeriggio, sotto la solita panchina, Yui trovò un foglietto piegato.
La calligrafia era sottile, ordinata.
"Sabato c’è il matsuri vicino al tempio.
Se ti va, possiamo andarci insieme.
Hayato."
Yui sorrise.
Il sole calava, e la città sembrava, per una volta, perfettamente a fuoco.
Una storia semplice su quel momento fragile e bellissimo in cui ci si sente spaesati, e basta uno sguardo o una panchina condivisa per trovare un punto fermo. Se ti è piaciuto questo racconto, fammi sapere nei commenti o condividilo con qualcuno a cui servirebbe una piccola luce gentile nel giorno giusto.
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