A volte ritornano..

Ogni settimana, Aya riceve un pacco anonimo con dentro oggetti del suo passato: una biglia, una foto, una chiave. "A volte ritornano" è un racconto breve e toccante sul valore della memoria e dei ricordi.

STORIE E RACCONTII MIEI RACCONTI

Mr. Red Drakar

7/30/20252 min read

Ogni venerdì alle 14:07 esatte, il campanello suonava. E ogni volta, sulla soglia dell’appartamento, c’era lo stesso pacchetto. Nessun corriere, nessuna firma, nessun mittente.
Solo una piccola scatola marrone con il suo nome scritto in stampatello, nero su bianco: Aya Fujimoto.

Il primo arrivò un mese dopo il trasloco.
Aya aveva ventitré anni, viveva da sola in un piccolo appartamento a Shimokitazawa e lavorava come assistente in una libreria indipendente. La sua vita era ordinata, quasi silenziosa. Lavoro, casa, qualche uscita saltuaria.
Non si lamentava, ma nemmeno rideva più come prima.

Dentro il primo pacco c’era una biglia di vetro azzurro.
Una di quelle che si vincevano ai festival estivi durante l'infanzia. Ne aveva una identica da piccola. La portava ovunque. L’aveva persa una sera, sotto la pioggia, quando suo padre l’aveva rimproverata per essere uscita di nascosto.

Il secondo conteneva una molletta rossa, sbeccata su un lato.
Aya la riconobbe all’istante: era della sua migliore amica delle medie, Natsumi. Si erano perse di vista dopo un litigio stupido. Un "non voglio più vederti" detto troppo in fretta, troppo forte.

Il terzo pacco aveva dentro una vecchia foto. Aya, tredici anni, in una piscina comunale, sorridente. Accanto a lei un ragazzo che le aveva scritto lettere per mesi.
Non si erano più rivisti. Ma lei quelle lettere le aveva tenute, per un po’. Poi, una mattina, le aveva strappate una a una, convinta che fosse il modo migliore per dimenticare.

Ogni settimana, il pacco arrivava. Ogni volta un oggetto.
Un bottone.
Un ciondolo rotto.
Un foglio di carta con una frase a metà.

Non c’erano indizi. Solo il passato. Il suo passato.
Tutto ciò che Aya aveva perso, dimenticato, lasciato cadere per la strada.

All’inizio pensò a uno scherzo. Poi si chiese se fosse qualcuno che la conosceva.
Ma chi avrebbe potuto sapere tutti quei dettagli? Chi avrebbe avuto il coraggio — o la delicatezza — di restituirle quei frammenti così precisi?

Cominciò a tenere una scatola in salotto, dove metteva ogni oggetto. La chiamava “la scatola delle cose che tornano.”
Ogni venerdì la apriva, toccava gli oggetti, e si permetteva di ricordare.

Un giorno, nel pacco trovò qualcosa di diverso.
Una chiave. Appesa a un nastrino azzurro.
Era di una vecchia cassetta postale, quella del palazzo in cui abitava da bambina.

Non sapeva cosa pensare.
Il giorno dopo prese la metropolitana, tornò nel quartiere d’infanzia. Il palazzo era ancora lì, un po’ più scolorito.
Con il cuore che batteva troppo forte, inserì la chiave nella cassetta numero 17.

Dentro c’era una lettera.

*“Cara Aya,

So che non sei più la bambina che cercava le biglie sotto la pioggia, né l’adolescente che strappava lettere per proteggersi.
Ma tutto quello che hai lasciato indietro non è sparito.
È qui.
Ti aspetta.

Raccoglierlo non ti farà tornare indietro, ma forse ti aiuterà ad andare avanti.

Firmato:
Una parte di te che non ha mai smesso di cercarti.”*

Aya chiuse gli occhi.
Lasciò scivolare la lettera nel cuore, come si fa con certe canzoni sentite solo una volta, ma mai più dimenticate.